I FONDALI MARINI DEL MAR MEDITERRANEO
Sotto la superficie del mar Mediterraneo si nasconde uno scrigno di biodiversità ancora poco conosciuto ma di inestimabile valore.
Il mare profondo, ovvero quello al di sotto dei 200 metri copre più del 65% della superficie terrestre e ospita il 95% della biosfera globale. La sua ricca e unica biodiversità è dovuta alla grande eterogeneità dei suoi habitat: montagne e canyon sottomarini, vulcani di fango, bocche idrotermali, giardini di spugne e praterie di gorgonie.
Un mosaico di ecosistemi che offre rifugio a oltre 3.000 specie diverse: coralli profondi come il corallo bamboo, pesci abissali, rane pescatrici, calamari giganti e moltissimi altri organismi ancora poco conosciuti.
Molti di questi vivono in ambienti estremi, con pochissima luce, temperature rigide e alta pressione. Nonostante ciò, hanno sviluppato adattamenti straordinari, contribuendo alla complessità e al funzionamento degli ecosistemi marini.
Questi fondali marini non sono importanti solo per la loro biodiversità: regolano cicli fondamentali per la vita sul nostro pianeta e giocano un ruolo chiave nella stabilità climatica globale.
Alla vigilia della Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani (UNOC 2025), Alessia Zecchini e MedReAct hanno lanciato un appello per la tutela degli ecosistemi marini profondi del Mediterraneo, sottolineandone l’importanza per il futuro del nostro mare.
Alla vigilia della Conferenza delle Nazioni Unite sugli Oceani (UNOC 2025), Alessia Zecchini e MedReAct hanno lanciato un appello per la tutela degli ecosistemi marini profondi del Mediterraneo, sottolineandone l’importanza per il futuro del nostro mare.
I sedimenti marini, ad esempio, sono importanti nella regolazione del ciclo del carbonio in quanto ne assorbono più di quanto ne emettano, con importanti conseguenze nel contesto del cambiamento climatico. Recentemente è stato scoperto che i sedimenti delle acque profonde rappresentano quasi l’80% dello stock di carbonio nei sedimenti marini totali.
Negli ultimi decenni, nuove tecnologie hanno permesso di esplorare aree sempre più profonde e inesplorate, migliorando la comprensione sul funzionamento di questi ecosistemi e rivelando quanto essi siano unici ma anche estremamente fragili.
Negli ultimi anni le trivellazioni e lo sfruttamento delle risorse naturali si sono spinti a profondità sempre maggiori, anche a causa dell’avanzamento tecnologico, estendendo l’impatto delle attività umane a profondità un tempo inaccessibili.
A queste aggressioni si aggiungono gli effetti dei cambiamenti climatici, come la progressiva acidificazione, la riduzione dell’ossigeno disciolto nei mari e le ondate di calore marino.
Ma l’impatto prevalente sugli ecosistemi marini profondi è provocato dalla pesca industriale, sempre più invasiva e aggressiva. A causa del declino degli stock ittici, la pesca da strascico si sta gradualmente spostando verso le acque più profonde, mettendo a rischio anche gli ambienti più vulnerabili.
Il risultato? Una progressiva desertificazione degli abissi, che li rende sempre più poveri e inospitali.
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