Gli impegni mancati per la tutela del Mar Mediterraneo.
La nostra indagine rivela come queste aree siano spesso protette solo su carta anche per l’assenza di controlli, come denunciato dai piccoli pescatori che subiscono le incursioni illegali della pesca a strascico
Crocevia di popoli, culture, lingue, religioni, il Mediterraneo è uno scrigno di biodiversità che custodisce una straordinaria ricchezza.
Nelle sue acque vivono circa il 7,5% delle specie mondiali su una superficie pari a 0,32% di tutti gli oceani e una diversità di specie per area circa 10 volte superiore alla media mondiale.
Numeri importanti che hanno fatto sì che nei secoli il mar Mediterraneo abbia sostenuto sulle sue sponde lo sviluppo umano, diventando il grembo della nostra storia e della nostra civiltà.
Purtroppo a partire dalla metà del secolo scorso e in particolare negli ultimi decenni il nostro mare ha perso il 41% dei principali predatori marini, mentre il 78% degli stock ittici è valutato sovrasfruttato.
Una crisi dovuta all’impatto di diverse fonti: inquinamento, cambiamenti climatici, sfruttamento di idrocarburi. Ma l’impatto prevalente sull’ecosistema marino è provocato dalla pesca industriale.
La pesca a strascico, in particolare, esercita un impatto così devastante sui fondali marini da essere paragonato al taglio a raso delle foreste
Gli strumenti esistono ma nella maggior parte dei casi, solo su carta.
Lo strumento principale della politica dell'Unione Europea per la conservazione della biodiversità sono i siti marini di Natura 2000. Una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell'Unione, per garantire protezione agli habitat naturali e alle specie di flora e fauna.
A partire dal 2006, il livello di protezione per i siti Natura 2000 mediterranei è stato anche rafforzato dal Regolamento (CE) 1967/2006 sulla pesca mediterranea attraverso il divieto di pesca a strascico all’interno di queste aree.
Purtroppo l’efficacia della norma è stata ridotta dall’ applicazione parziale del divieto che viene spesso circoscritto solo a quelle porzioni dei Siti marini Natura 2000 dove si trovano gli habitat prioritari ovvero le fanerogame marine, gli habitat a coralligeno o i letti di maerl, piuttosto che all’intera superficie del sito come invece previsto dal regolamento comunitario.
A quindici anni dall’entrata in vigore di questa norma il divieto di strascico non è stato ancora pienamente applicato, consentendo alla pesca a strascico di operare in aree che prevedono la massima tutela da questo tipo di pesca
Un secondo strumento di tutela sono le Zone di Tutela Biologica (ZTB), introdotte dall’Italia fin dagli anni ‘70 per tutelare habitat fondamentali per la conservazione e il recupero degli stock ittici attraverso il divieto di pesca professionale, sportiva e ricreativa se non diversamente stabilito.
Complessivamente si tratta di una rete di 26 aree che se ben gestita avrebbe potuto contribuire al recupero di stock ittici sovrasfruttati. Purtroppo non è stato così e la maggior parte delle ZTB sono rimaste solo su carta. Secondo uno studio del CNR del 2019 su 12 ZTB ben 11 sono risultate soggette a strascico illegale.
La ZTB delle Tremiti, situata al largo delle Isole Tremiti fu istituita nel 2004 e chiusa alla pesca a strascico. Dal 2009 la ZTB è stata riaperta alla pesca a strascico tra il 1 novembre e il 31 marzo. Nei restanti mesi dell’anno il divieto di strascico sembra sia rimasto solo su carta.
Tra il 2020-2021 l’analisi dei tracciati satellitari AIS (Sistema di Identificazione Automatica) segnalano nella ZTB numerose attività di pesca a strascico, nel periodo di divieto. Per trovare conferme a quanto segnalato dai tracciati AIS, MedReAct ha raccolto le testimonianze dei piccoli pescatori delle Tremiti e di operatori locali, che confermano la incursioni illegali della pesca a strascico nella ZTB delle Tremiti.