Il dossier dell'Adriatic Recovery Project sugli ecosistemi vulnerabili dell'Adriatico e sulle misure per la loro tutela
Ancona 5 luglio 2017 – Solo nel 2014, 52.000 tartarughe catturate dallo strascico di cui 10.000 morte e, negli ultimi 50 anni, crollo del 94% dei grandi predatori. Tra questi alcune specie, come lo squalo angelo (Squatina squatina) o il grande squalo bianco (Carcharodon carcharias), una volta comuni nell’intero Adriatico, sono praticamente scomparsi. Stesso trend negativo per i mammiferi marini, delfini, foche, balene e per le tartarughe marine. Drastica anche la riduzione di habitat e specie strutturanti, come letti di ostriche, o foreste di pennatule, spugne, fondamentali per il recupero delle specie commerciali e non solo.
Questi sono solo alcuni dei dati contenuti nel dossier dal titolo “Adriatico da svelare”, presentato il 5 luglio ad Ancona a bordo del Palinuro, la nave scuola della Marina Italiana, da Carlo Cerrano del Politecnico delle Marche.
Durante l’incontro, al quale hanno partecipato anche Valeria Mancinelli, Sindaco di Ancona, Giuseppe Valentini, Comandante della nave Palinuro, Maria Rapini, segretario generale di Marevivo, e Domitilla Senni di MedReAct, sono state inoltre presentate le azioni dell’Adriatic Recovery Project per il recupero delle risorse marine dell’ Adriatico.
L’Adriatico ospita il 49% delle specie marine conosciute in Mediterraneo ma, insieme al Golfo di Gabes in Tunisia, è l’area del Mediterraneo dove si pratica con più intensità la pesca a strascico, particolarmente distruttiva per gli ecosistemi vulnerabili marini come i giardini di spugne e coralli, campi di pennatule e gorgonie, fondali a molluschi bivalvi e altre foreste di animali marini, canyon sottomarini e praterie di posidonia considerati habitat fondamentali per la salute del mare. Lo strascico può provocare anche un forte impatto sugli habitat considerati essenziali per le specie ittiche, ovvero quelle aree in cui le larve o i giovanili di specie commerciali si ritrovano con elevate abbondanze e densità (ad esempio la Fossa di Pomo in centro Adriatico).
Solo di recente la CGPM, Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM), l’organismo regionale che regolamenta la gestione e la conservazione delle risorse biologiche marine, ha avviato un processo per la loro identificazione e tutela anche attraverso l’istituzione di aree di restrizione alla pesca (Fisheries Restricted Areas, FRA).
Per questo lo scorso febbraio MedReAct, con il supporto scientifico del Politecnico delle Marche e dell’Università di Stanford, ha presentato al CGPM una proposta per l’istituzione di una nuova FRA nella Fossa di Pomo a tutela delle importanti nurseries e delle VMEs presenti nell’area La proposta ha stimolato un’iniziativa congiunta di Croazia e Italia per la chiusura alla pesca demersale di una zona della Fossa di Pomo dal 1 settembre 2017.
“Decenni di malapesca hanno impoverito l’Adriatico, esaurito gli stock ittici, compromesso la struttura degli habitat di fondo e provocato la scomparsa di alcuni predatori, come lo squalo angelo – ha dichiarato Domitilla Senni di MedReAct – E’ ora di cambiare rotta attraverso una nuova misura di recupero del mare, anche attraverso il divieto allo strascico di fondo nelle zone più sensibili come la Fossa di Pomo e altre aree a rischio”.
“In Adriatico esistono ancora tanti spunti di scoperta e riscoperta delle meraviglie del mare – spiega Maria Rapini, segretario generale di Marevivo – e proprio per tutelare la biodiversità che sussiste in queste acque, nonostante le pressioni dirette e indirette sull’intero sistema marino costiero, sono importanti ed urgenti le iniziative di ricerca, studio e sensibilizzazione come Adriatic Recovery Project”.
Scarica il dossier "Adriatico da svelare"